Coinvolta nel conflitto vietnamita, la Cambogia subì i bombardamenti statunitensi che causarono un numero di morti che, secondo le differenti stime, va dai 30.000 ai 500.000
Quando Vietnam del Nord e Stati Uniti firmarono gli Accordi di pace di Parigi nel 1973, i Khmer Rossi (alleati con il re in esilio Norodom Sihanouk contro il primo ministro Lon Nol appoggiato dagli americani) non parteciparono al trattato e perciò lo scontro con gli Stati Uniti continuò.
Il 17 aprile 1975, nonostante gli aiuti statunitensi a Lon Nol, i Khmer Rossi, guidati da Pol Pot, presero Phnom Penh ed entrarono nella città acclamati dalla popolazione che sognava la fine della guerra.
Ma il sogno durò poco ed ebbe inizio uno dei regimi più efferati della storia.
I Khmer Rossi iniziarono subito la persecuzione di chiunque fosse stato legato al governo di Lon Nol e all’esercito, seguita da un esodo forzato dei civili verso le campagne: in 48 ore la città di Phnom Penh viene evacuata.
Nessuno è autorizzato a rimanere in città e quasi due milioni di persone (malati compresi perché anche gli ospedali vengono svuotati) sono costrette a marciare verso le campagne.
La scena è apocalittica e la città dopo tre giorni diventa un luogo spettrale.
La scusa è il timore di possibili bombardamenti americani, in realtà si intendeva imporre la creazione immediata di una società comunista basata sull’agricoltura.
Medici, avvocati, ingegneri, architetti, chiunque avesse un titolo di studio era un potenziale nemico della causa comunista e doveva lavorare nei campi.
Ha inizio un periodo di terrore generalizzato che dura 4 anni, fino alla conquista del paese da parte del Vietnam nel 1979; le stime del numero delle vittime del regime va dal milione e 200 000 morti del Dipartimento di Stato americano.