26 luglio 2014 - 3 agosto 2014 e 18-22 agosto 2014
Il mio amico Roberto lavora a Mosca da un anno e mezzo, abbiamo pensato più volte di andarlo a trovare, ma per vari motivi non ci siamo mai decisi. Saputo che lui e la moglie, la mia storica amica Lorena, in estate sarebbero voluti andare in Siberia, Giampiero ed io abbiamo pensato di approfittarne e aggregarci a loro, prendendoci qualche giorno per visitare San Pietroburgo e Mosca
SAN PIETROBURGO: ALLA RICERCA DELL’HOTEL PERDUTO
Arriviamo a San Pietroburgo alle 16 del 26 luglio volando Air Berlin (partenza h 9 da Milano, scalo a Berlino, euro 157) e, dopo un rapidissimo controllo passaporti, utilizziamo il servizio taxi disponibile subito dopo l’uscita dal controllo; è molto comodo perché parlano inglese (cosa, come scopriremo presto, non comune in Russia) e comunicano subito la tariffa da pagare, nel nostro caso 900 rubli (circa 20 euro).Avevamo prenotato il Moy Hotel on Sennaya con booking.com, ma arrivati all’indirizzo abbiamo una spiacevole sorpresa: dell’hotel non c’è traccia. All’indirizzo indicato sulla prenotazione c’è un edificio piuttosto fatiscente senza insegne o altro che possa far pensare all’esistenza di un albergo; chiediamo un po’ in giro ma nessuno conosce l’hotel, anche nel negozio a fianco, dove entro per chiedere informazioni. Fortunatamente, un gentilissimo ragazzo che parla inglese telefona al numero scritto sulla prenotazione e, dopo avermi comunicato che in questo edificio c’è la dépendance dell’hotel e che la reception è qualche metro più avanti, attende con me che arrivi effettivamente l’incaricata dell’hotel ad aprirci: “Voglio essere sicuro che sia tutto ok”, mi dice, nonostante io cerchi di rassicurarlo di non preoccuparsi.
Il primo impatto con l’albergo effettivamente non è dei migliori: dall’esterno è totalmente fatiscente così come l’ingresso e le scale, che si vede chiaramente hanno vissuto tempi migliori, sono in pessime condizioni; per non parlare dell’ascensore, sul cui pavimento un liquido appiccicoso sembra essersi sedimentato da settimane. Ma quando infine entriamo in quello che è effettivamente il nostro albergo (all’apparenza la porta di ingresso di un appartamento come gli altri) la situazione cambia completamente: è molto carino, arredato modestamente ma bene, la stanza luminosa e pulitissima.
Scopriremo poi che il contrasto fra un esterno e parti comuni in totale abbandono e interni completamente ristrutturati e gradevoli è cosa abbastanza frequente: negli edifici dove dopo la caduta dell’Unione Sovietica gli appartamenti sono stati acquistati dai singoli residenti (o comunque non c’è un acquirente unico per tutto l’edificio) spesso le parti comuni non vengono curate in alcun modo, non esiste il concetto di “amministratore di condominio”.
Una volta sistemati nella nostra stanzetta, andiamo a fare un giro. Bella impressione della città anche se ci metto un pochino a orientarmi; certo c’è da camminare assai. Andiamo a cena in un ristorante consigliato da Roberto “La terrazza”, senza dubbio è bello, sul tetto di un palazzo molto curato, ma è un po’ caro, spendiamo infatti 4200 rubli (80 euro in due).
DAL PALAZZO D’INVERNO ALLA PROSPETTIVA NEVSKIJ: CAMMINARE NELLA STORIA
Pensavo di non dormire visto il caldo (arriviamo infatti a 30°), la luce (non ci sono tapparelle o tende) e il rumore (siamo in pieno centro) invece sono crollata come un sasso e mi sono svegliata alle otto passate.Decisamente dobbiamo “prendere le misure” con i costi di questa città; la colazione, in un normalissimo bar, costa più che a Zurigo (15 euro per un caffè, un cappuccino e due fette di torta)! Comunque eccoci in metrò diretti all’Hermitage. Che dire? L’edifico è maestoso, sia che lo si veda dalla piazza del Palazzo sia che lo si veda dalla Neva: è un complesso che comprende vari edifici, collegati tra loro da gallerie, costruiti tra il XVIII e il XIX secolo, a partire dal famoso Palazzo d’Inverno dal quale le guardie rosse diedero inizio alla Rivoluzione d’ottobre. Il museo dell’Hermitage viene fondato da Caterina II nel 1764 e nel 1852 diviene il primo museo pubblico della città, anche se l’accesso è limitato a un pubblico definito “rispettabile”; inizialmente destinato a raccogliere le opere d’arte raccolte da Caterina e poi dai vari zar, il museo è stato ampiamente arricchito in epoca sovietica e oggi conta 3 milioni di opere d’arte, delle quali circa 60.000 sono esposte nelle sue sale. La mia resistenza alle visite museali è sempre limitata e, nonostante l’incanto che destano sia le opere sia la struttura stessa del palazzo, non resisto più di una mattinata.
Quindi, dopo un veloce spuntino, eccoci attraversare impavidi (fa un bel caldo) il ponte sulla Neva per rendere omaggio al mitico incrociatore Aurora dal quale il 7 novembre 1917 (25 ottobre) venne sparato il colpo di cannone che diede il segnale per la presa del Palazzo d’Inverno. Purtroppo arriviamo 15 minuti dopo la chiusura e, nonostante io cerchi in tutti i modi di impietosire il marinaio di guardia, non c’è verso di salire.
Non ci resta che prendere un taxi e andare alla Fortezza dei Santi Pietro e Paolo, la cittadella costruita nel 1703 che si trova sulla riva della Neva opposta all’Hermitage. La cosa più curiosa sono i prati intorno alla Fortezza: una vera propria spiaggia per gli abitanti di San Pietroburgo. La cosa più “sovietica” è il mausoleo, all’interno della Cattedrale dei santi Pietro e Paolo, dove è sepolta la famiglia Romanov: una targa spiega che qui sono sepolti lo zar Nicola II e famiglia, le cui spoglie sono state traslate da Ekaterinburg dove la famiglia imperiale era “morta” nel 1918.
Infine, stremati, prendiamo il metrò e dopo una sosta al mercato per acquisti alimentari eccoci in camera per un po’ di relax e doccia pre cena. Nel nostro girovagare siamo incuriositi dalle numerosissime bandiere bianche con le strisce blu e stella rossa e falce e martello nonché dalla quantità di marinai che popolano la città. Quando poi assistiamo a una mezza parata nella piazza del Palazzo e vediamo sommergibili e altre navi da guerra nella Neva, ci informiamo su cosa stia succedendo: è la festa della Marina Militare che si festeggia l’ultima domenica di luglio. Ma quelle bandiere? Bhè, dopo il 1992 la bandiera della Marina Militare è cambiata ovviamente, ma nei festeggiamenti la protagonista è sempre la gloriosa Marina Sovietica e la nuova bandiera non se la fila nessuno.
La lunga Prospettiva Nevskij è un vero piacere per la vista: tagliando la città dal centro, parte dalla piazza del Palazzo per arrivare al Monastero di Aleksandr Nevskij ed è lunga circa 4,5 chilometri; la Prospettiva incanta per la magnificenza dei suoi palazzi. Nella camminata, che ci occuperà un’intera giornata, ne visitiamo alcuni, insieme alla Cattedrale di Kazan (che non ci entusiasma), alla Chiesa della Resurrezione (splendida) e ai giardini del Palazzo Michajlovskij (nei quali ci godiamo un meritato riposo). Non ci facciamo mancare una visita alle case di Puskin e Dostoevskij, mentre ci godiamo due ottime cene in un ristorante georgiano (Khochu Kharcho, Sadovaya ul. 39/41, 1.900 rubli) e in uno russo (1913, Voznesensky pr. 13/2, 2.200 rubli).
L’impressione che in questa brevissima visita mi ha fatto San Pietroburgo? Una bellissima città, con abitanti mediamente gentili, ma che ho sentito molto distaccata; hai la netta impressione di coglierne solo la superficie, di trovarti in un corpo pulsante molto vivo, ma che in qualche modo ti respinge. Impenetrabile, ecco come definirei San Pietroburgo.
ANELLO D’ORO: PICCOLI GIOIELLI TRA SACRO E PROFANO
Visto che di treno ne faremo parecchio in Siberia, decidiamo di andare a Mosca in aereo (51 euro), ma il viaggio dall’aeroporto a casa di Roberto (in centro, sulla Nuova Arbat) è di una lunghezza esasperante: sono solo 50 km ma, nonostante sia sera tardi, impieghiamo quasi 2 ore a percorrerli. Comunque, anche se sono quasi le 23, quando mettiamo piede in casa, ci scofaniamo una bella pasta al sugo!Dato che l’indomani il treno per Vladimir è piuttosto presto, andiamo in taxi e, lungo il percorso, ci ritroviamo una paio di volte nei pressi dello stesso enorme palazzo, famosissimo per la sua architettura staliniana e facciamo la classica considerazione sul taxista: “Questo ci sta facendo fare il giro dell’oca!”. Scopriremo poi che non si tratta dello stesso edificio bensì di un paio (se non tre) delle “Sette sorelle” e che il taxista ha seguito il tragitto più breve per condurci alla stazione.
Arrivati in stazione notiamo tanto personale, tanta gente che sembra impiegata in attività apparentemente inutili e nei giorni successivi l’impressione verrà confermata: per esempio, vediamo un signore che, munito di straccio e “spruzzino” con detergente, lucida la base dei lampioni lungo uno degli immensi viali moscoviti, oppure le “compagne controllore” (come le chiama Giampiero) che in metropolitana, chiuse in appositi gabbiotti, guardano le persone che salgono e scendono dalle lunghissime scale mobili. Insomma, in Russia, perlomeno a Mosca, un lavoro non si nega a nessuno.
Dell’Anello d’Ora, un itinerario ovale di circa 800 chilometri lungo la riva destra del Volga, a est di Mosca, dove sorgono antiche capitali di regni pre-zaristi, abbiamo scelto di visitare solo alcune città; Vladimir e Suzdal prima del viaggio in Siberia, Sergiev Posad al ritorno.
Moderno e dotato di tutti i comfort, il treno giunge a Vladimir (188 km) in h 1.45. Il cielo è bigio e presto siamo sorpresi da un acquazzone, la temperatura si abbassa improvvisamente e facciamo appena in tempo a correre dentro la cattedrale della Dormizione prima di finire bagnati fradici. Costruita nel 1158/60, la Cattedrale conserva icone e affreschi realizzati dal monaco, pittore e santo Andrej Rublëv, ma purtroppo sono in restauro e ne gustiamo solo una parte. Vediamo poi, dall’esterno perché è chiusa, la cattedrale di S. Demetrio e quindi ci muoviamo verso Suzdal dove decidiamo di andare in taxi visto che non costa molto e che il tempo è ancora incerto.
Suzdal è una delizia: una lunga via centrale lungo la quale sorgono il Cremlino e il grandioso complesso del Monastero di Sant’Eutimio; dall’asse centrale si dipartono diverse strade fiancheggiate da izbe di legno, colorate e ben tenute, per arrivare, al di là del fiume Kamemka, al complesso del monastero dell’Intercessione. Le chiese e i monasteri sembrano enormi torte da sposa, disseminate di cipollotti colorati (verdi, blu, neri, dorati) e sulla via Leninska (la toponomastica post sovietica non ha toccato il “padre della rivoluzione” Vladimir Ilic e in tutte le città c’è una via Leninska, così come frequentissime sono le statue di Lenin) ci sono anziane signore che vendono prodotti agricoli, in particolare tantissimi mirtilli e frutti di bosco in generale.
Colpisce la religiosità dei russi: il raccoglimento nelle chiese e gli atti di devozione verso le immagini dei santi.
Alloggiamo in un bed&breakfast che avevamo prenotato con booking.com e affittiamo due biciclette con le quali facciamo piacevoli giri nella cittadina e nei dintorni, compreso il piccolo villaggio di Kideska; scopriamo così che la fermata del bus da e per Vladimir è a circa 5 chilometri dalla città (questa è una caratteristica di quasi tutti i mezzi di trasporto, del resto era così anche in Uzbekistan: i collegamenti tra le città non sono mai centro-centro, anche quando si tratta di piccoli paesi come Suzdal).
L’indomani torniamo in bus a Vladimr, 45 minuti e un paio di euro di costo e, visto che dobbiamo attendere la sera per prendere il treno per Mosca, decidiamo di andare a Bogolijubovo dove si trova la piccola chiesa dell’Intercessione sul Nerl, un gioiello dell’architettura russa del Medioevo, dichiarato nel 1992 patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Alla partenza da Vladimir per questo piccolo detour, una piccola dimostrazione della cortesia russa: non volendo portarci appresso gli zaini, cerchiamo il deposito bagagli della stazione dei bus, ma il cartello degli orari è assolutamente incomprensibile (indica aperture di 10 minuti in orari poco chiari); chiediamo informazioni e, dopo una breve confabulazione telefonica dell’impiegata, capiamo, a gesti, che dobbiamo attendere.
Arriva quindi un signore gentilissimo, ma con il quale è impossibile comunicare: è tutto un parlare russo, battersi la mano sul cuore, indicare i bagagli, indicare noi, ma non capiamo, finché una signora russa che conosce perfettamente l’italiano ci aiuta per dirci che il deposito è normalmente chiuso, ma lui ci dà il suo numero di telefono e quando torniamo basta chiamarlo e arriva; ci sembra un po’ a rischio avendo poi poco tempo per il treno e quindi decidiamo di portarli al deposito della stazione ferroviaria, non molto lontana; mentre Giampiero compie la missione, io rimango con il russo, che continua a ripetere “Italia, Italia” con aria sognante, poi esclama “Albano, Romina!” e io “ah Felicità!!”. È un tripudio! Ferma una collega che parla qualche parola di inglese, quindi mi spiega che lui si è innamorato della moglie con quella canzone e infine mi prende sotto braccio per accompagnarmi al bus cantando Felicità, ma soprattutto pretendendo che io faccia lo stesso!!! Quando arriva Giampiero, il nostro uomo dei bagagli ci affida alla bigliettaia del bus per Bogolijubovo raccomandandosi più volte di farci scendere alla fermata giusta. La sera arriviamo a Mosca.
Tornati dal nostro viaggio in Siberia, visitiamo l’ultima città dell’Anello d’Oro, Sergiev Posad, che avevamo selezionato.
Il viaggio con un treno suburbano è sempre un’attrazione. Affollato, caldissimo e con sedili piuttosto scomodi, ma è uno spasso: ad ogni fermata sul vagone si susseguono venditori ambulanti che presentano le proprie merci, alcune veramente improbabili, con colorite spiegazioni (non capiamo nulla, ma la mimica è molto espressiva); agli scontati fazzolettini di carta si susseguono attaccapanni pieghevoli da viaggio, oggetti di cartoleria, biancheria di vario tipo ecc. Infine, dopo circa 1h e 30 (sono 71 chilometri), arriviamo alla nostra meta.
La camminata dalla stazione offre una bella vista del Monastero della Trinità di San Sergio, fondato nel 1340 e considerato uno dei più importanti della Russia. Il nome della città significa “insediamento di Sergio” e si riferisce a San Sergio di Radonež; questa derivazione religiosa fu il motivo per cui nel 1930 la città venne ribattezzata Zagorsk, in memoria del rivoluzionario Zagorskij, dai bolscevichi. La denominazione originaria venne ripristinata nel 1991, con la caduta dell’Unione Sovietica. Intorno al Monastero, come in tutti i centri spirituali più importanti della cristianità, il suq dei souvenir religiosi (comprese immagini dello zar Nicola II in veste da santo) imperversa, ma all’interno, nonostante la ressa di turisti, la visita è piacevole. Ci mettiamo in coda per vedere le icone dipinte da Andrej Rubliev, ma sbagliamo e solo dopo un’ora, e appena in tempo per evitare una figuraccia, ci rendiamo conto di esserci incolonnati nella coda dei pellegrini che vanno a baciare la teca delle reliquie di San Sergio. Ritorno in bus, il tempo è più o meno lo stesso del treno suburbano per via del traffico intenso.
MOSCA, L’OPULENTA
Tornati a Mosca dal nostro giro a Suzdal e Vladimir, ci svegliamo di buon’ora e, armati di macchina fotografica e zainetti, partiamo alla volta del Cremlino. Appena usciti dalla piccola via dove abita Roberto veniamo risucchiati dal traffico dell’Arbat: 4 corsie con le auto che sfrecciano sul rettilineo che conduce dritto dritto al Cremlino. Ma che macchine! Suv Mercedes grandi come furgoni, Maserati, BMW, la cilindrata più piccola è un 2000; e poi i negozi, l’Italia va per la maggiore, da Armani a Furla a ogni ben di dio gastronomico.Quando entriamo nei mitici magazzini Gum (80.000 m2 di superficie in tre gallerie coperte per tre piani di altezza) , non posso credere ai miei occhi: c’è una gastronomia che sarà lunga 100 metri, una scaffalatura alta fino al soffitto è colma di aceti balsamici di Modena di marche diverse (uno di questi costa 25.000 rubli, ossia 500 euro). Certo, ci sono parecchi turisti, ma la maggior parte degli acquirenti, qui, come nei negozi, è russa.
Opulenta… è questo il primo aggettivo che mi viene in mente per descrivere Mosca.
Comunque facciamo un bel giro classico, visitando il Cremlino (da non perdere l’Armeria con collezioni splendide di gioielli, armi, carrozze, suppellettili varie) e San Basilio (un dedalo di stanze e stanzette, con angoli molto suggestivi), un passaggio davanti al Bolscioi e quindi rientro a casa. Distrutti.
L’indomani, insieme a Lorena, un giro un po’ fuori dalle classiche mete turistiche. Prima tappa, la casa di Maxim Gorkij: costruita nel 1906 da Fjodor Schechtel per il mercante Rjabuschinski, venne assegnata da Stalin allo scrittore che vi visse i suoi ultimi anni di vita; è una bellissima villa in stile liberty con piastrelle di ceramica e una scala di marmo splendida. Seconda tappa, gli stagni del patriarca, luogo del famoso inizio de “Il Maestro e Margherita”, quindi visita alla komunalka dove ha vissuto Bulgakov; in realtà della “casa comune” non è rimasto molto e l’appartamento è stato trasformato in un museo o meglio in un vero e proprio luogo di pellegrinaggio perché Bulgakov è una sorta di icona per molti russi.
Infine rientro a casa e alle 23.05 volo per Irkutsk, dove arriviamo alle 9.30 (ora locale, il volo dura quasi 6 ore, 286 euro).
Torneremo a Mosca dopo il nostro viaggio in Siberia e non ci faremo mancare nulla. Imperdibile, anche se inserita nei circuiti classici, la Galleria Tetriakov, quindi una passeggiata nella Strelka (l’isola in mezzo alla Moscova) con visita a Ottobre Rosso, ex fabbrica del cioccolato trasformata in una sorta di Centre Pompidou dove si susseguono studi di design, gallerie d’arte, negozi particolari, locali per aperitivi e ristorantini.
Un omaggio a Lev Tolstoj con la visita alla sua deliziosa casa moscovita, situata in un piccolo e silenzioso parco. Quindi saliamo alla collina dei Passeri dove, oltre a vedere da vicino uno dei più impressionanti edifici staliniani (l’Università), si giunge al punto panoramico sulla città che ci riserva una delle tante “russiate” (da leggersi con la stessa enfasi e lo stesso significato con cui si dice “americanate”): un trampolino per il salto con gli sci, con tanto di seggiovia.
Ma Mosca è anche il Gogolevsky Boulevard, il viale dove una leggenda metropolitana vuole si trovino i cancelli per la quarta dimensione e così, se c’è chi non vi passa mai da solo (soprattutto di notte) per timore di essere risucchiato in un viaggio nel tempo, c’è chi vi staziona (magari provvisto di adeguate razioni di cibo e sigarette) sperando invece di essere rapito.
E naturalmente la metropolitana, vero e proprio museo dove potresti passare delle ore saltando da un treno all’altro.